Ansia dell’azione

L'importanza di capire la differenza tra ansia e paura

L’ansia da prestazione è uno degli argomenti più gettonati all’interno dello sport. Spesso viene utilizzato come spiegazione a performance che non corrispondo alle aspettative da parte di atleti, tecnici e genitori. Quand’è che possiamo definire il fenomeno che accade prima, durante e dopo la gara, ansia da prestazione?

Prima di tutto dobbiamo chiarire che cos’è l’ansia differenziandola dalla paura. Quest’ultima infatti è un’emozione universale che ci permette di vivere. Se non provassimo paura attraverseremmo la strada senza controllare l’arrivo di una macchina. La paura ci dice che è presente un pericolo li davanti a noi o potenziale, che minaccia la nostra incolumità e attiva a livello fisiologico una serie di risposte che ci fanno muovere  e agire nell’ambiente (la classica risposta flight or fight) per la nostra sopravvivenza. Dunque la paura a livello fisiologico porta al movimento del corpo nel presente del qui e ora.

La paura insieme all’attrazione e il coraggio, sono le emozioni che sostengono il contatto con   la situazione e quindi anche con quella di gara. L’attrazione è importante che rimanga anche quando lo scopo non viene raggiunto perchè permette il riemergere dell’azione. La paura nasce dal fatto che si sta facendo un esperienza nuova e non conosciuta e il coraggio è la spinta per andare avanti nonostante la paura. Queste tre emozioni sono sostenute dall’eccitazione, infatti quando un’atleta deve affrontare una gara può avere paura, anche perchè è attraverso la scarica di adrenalina nel corpo che il movimento è possibile.  L’atleta coraggioso non è quello che non ha paura, ma è una persona che sa riconoscere e accettare la sua paura, prendere un bel respiro, trovare il coraggio (il cuore) e muoversi insieme alla sua paura.

Quello che gli atleti riportano quando vanno in ansia invece è una sensazione di rigidità o di mollezza e/o di noia (ebbene si anche la noia!), di paralisi, di scordinazione, di non presenza e di non lucidità.

Vivere l’ansia significa fare le prove su un palco e conludere che la prestazione non raggiunge uno standard richiesto (da chi?). Da qui la preoccupazione per l’esito della gara. Il pericolo non è presente in quel momento, ma lo è nel futuro. L’atleta entra in contatto con un pensiero, una fantasia e vive  l’esperienza dello smarrimento, dell’incertezza verso il futuro, diventando difficile per lui   vivere il qui e ora. Egli si stacca fisicamente ed emotivamente dal mondo, lascia il presente per andare nel futuro bloccando l’azione, portandolo a una rigidità del gesto, e quindi a una sua inefficacia. Diventando rigido smette di essere flessibile, creativo e pronto ad adattarsi.

Per questo motivo più che un’ansia da prestazione è un ansia dell’azione, perchè è l’azione che viene bloccata, che perde la sua forza e la sua intenzionalita per il timore di che cosa possa succedere se portata a compimento. È un corpo rigido e frammentato nel quale non fluisce più l’energia. L’eccitazione per la competizione non viene sostenuta  ma interrotta attraverso il respiro (per essere coraggiosi si ha bisogno di respirare) e la rigidità motoria. Respirare di meno serve per interrompere il contatto con l’ambiente che sovraecciterebbe ancora di più l’atleta, mentre la rigidità muscolare e motoria gli serve per tenersi integro a causa del timore di andare in pezzi in base al risultato.

L’ansia è dunque un esperienza che avviene nel corpo nel presente ma che nasce da uno spostamento nel futuro.

L’ansia non nasce solo dall’atleta ma è un processo interpersonale, è eccitazione non sostenuta dal corpo e dall’ambiente, quindi dalle relazioni che lo circondano (genitori, allenatori ecc). Quando emerge, l’ansia, ci dice che è mancata l’esperienza di un intimo sostegno specifico relazionale e ambientale. Nell’avventura della relazione con il mondo è infatti importante che si faccia l’esperienza di sentirsi adeguati alle situazioni e di percepirsi integri, ovvero che qualsiasi cosa succeda non si andrà in mille pezzi. Quello che a volte esperiscono gli atleti è proprio il sentirsi inadeguati in un certo tipo di competizione e che la loro integrità personale dipenda dal risultato e solo da quello. Capite che in questa esperienza la gara può solo essere temuta e non desiderata!

La chiave per vivere l’ansia e sentire che essa è eccitazione che prepara alla gara è proprio il saper ricontattare il desiderio di competere.

La parola desiderio significa “lontano dalla stella”, e indica l’energia impiegata nel raggiungerla, diventando quindi espressione dell’intenzionalità di godersi e vivere la gara. Il desiderio riguarda anche la propria capacità di essere aggressivi, ovvero di andare verso l’ambiente, di distruggerlo e di nutrirsi di esso. Desiderare qualcosa  consente di muoversi e di assumersi la responsabilità di questo movimento. Per un atleta desiderare una gara gli permette di stare nel processo, di muoversi nell’ambiente, di modificarlo, di modificarsi egli stesso continuamente e di assumersi la responsabilità di quello che fa, della gara che crea, senza scivolare negli alibi. Desiderare è molto diverso dal “dover fare” il quale indica una regola, un dogma che sostiene la “prova sul palco” perchè pone uno standard da raggiungere,  favorendo quindi l’emergere dell’ansia.

Alcuni allenatori chiedono come si fa a motivare di più i propri atleti, la risposta è che questo non è possibile. La motivazione, il piacere legato al processo dell’azione è strettamente collegato a quanto si è in contatto con il proprio desiderio. Desiderare permette di sentire il piacere nel viaggio che porta verso la stella, senza interessarsi a quanto sia lontana perchè il bello è gia nel cammino, non nell’arrivo. Per un atleta vivere la paura e il desiderio della gara gli permette di agire in modo più fluido ed efficace e di godere prima e durante la performance e non solo al momento del risultato perchè motivazione e desiderio partono da dentro, e che si esprime in un’azione che incarna tali sentimenti.

Letizia Navarino.

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