La struttura della crescita

Ogni approccio alla crescita personale, sia esso educativo, pedagogico, formativo, terapeutico si basa su una implicita od esplicita visione antropologica.

Ogni specie vivente si è mostrata fino ad oggi capace di sopravvivere nel proprio ambiente di vita. Come sottolineano i noti biologi cileni Maturana e Varela, la vita fin dalle sue forme primordiali ha bisogno di rappresentare, di creare mappe del proprio ambiente di vita, per poter agire efficacemente, sopravvivere e prosperare in esso. Un’ameba deve avere recettori sia pur primordiali in grado di distinguere zone e sostanze tossiche da zone e sostanze nutritive, e sapersi allontanarsi o dirigersi verso di esse. A partire da questa constatazione, si può affermare che: “Vita ed intelligenza coincidono, o che l’intelligenza è la proprietà fondamentale al servizio della vita”.

Ovviamente tale capacità di creare mappe, schemi del proprio ambiente di vita e di sviluppare comportamenti attuali o ripetuti all’interno di esso, assume complessità molto diverse nel corso dell’evoluzione, e trova certamente il suo massimo di complessità, flessibilità, variabilità, eccellenza con l’apparire dell’essere umano. Come ogni altro organismo, esso è un sistema aperto al passaggio di materia, energia, informazioni adatto a sopravvivere nel proprio ambiente di vita. Ciò che lo rende però veramente specifico è l’infinita mutevolezza di tali ambienti, la capacità umana di adattarsi in modo creativo a multiformi situazioni e alla loro continua variazione.

La teoria della Gestalt descrive tale peculiarità con il concetto di “adattamento creativo”, intendendo con esso da una parte la capacità, in accordo con Piaget, di modificare continuamente, arricchire, differenziare, inventare i propri schemi e mappe di comprensione e di comportamento nel mondo al variare della situazione ambientale, dall’altra, attraverso tali capacità noetiche, di essere in grado di agire efficacemente per trasformare continuamente se stessi e l’ambiente di vita in vista della propria sopravvivenza e del proprio migliore benessere.

Tutto ciò quando le cose vanno bene. Ma qui avviene il paradosso. Proprio come Moreno aveva sottolineato parlando della personalità rigida come “conserva dei ruoli”, osservando quanto spesso il creatore di significati e comportamenti diventi schiavo delle proprie creature, le abitudini, specialmente se apprese in stato di emergenza o di continue ripetizioni, diventano i blocchi della creatività, gli originali adattamenti creativi diventano l’origine del disadattamento al variare della situazione personale od ambientale.

Cosa permette agli esseri umani di essere creativi? Cosa è alla base della trasformazione degli schemi di sé e delle visioni del mondo, cioè in ultima del loro continua evolvere? Si tratta della capacità di incontrare la novità delle situazioni, creando dunque significati e comportamenti nuovi, che superano gli schemi finora creati, incapace di comprenderli. Come percepiamo la situazione, e dunque, possibilmente, la sua novità? Ovviamente attraverso i sensi, attraverso la capacità di percepire noi stessi e l’ambiente, in un modo ricco e differenziato.

Ma la percezione, che è in realtà una costruzione di significato, sia sulla base di leggi intrinseche che su quella delle esperienze passate, non è tutto. Essa deve subire una validazione cognitivo emozionale, un certificato di coerenza e di buona forma, che proviene fondamentalmente dalle nostre sensazioni corporee. Noi siamo in grado di percepire la congruenza o l’incongruenza di un certo assemblaggio di gesti e parole, siamo in grado di diventare consapevoli della adeguatezza o meno delle nostre conoscenze pregresse alla situazione attuale, sono sensazioni viscerali, fondamentalmente cinestesiche, anche se da un’altra parte riconducibili al senso del gusto. Tutto ciò era stato già ben descritto dagli originali psicologi della Gestalt di inizio Novecento come “legge della pregnanza o della buona forma”.

Secondo un gestaltista è il corpo fenomenologico, con le sue sensazioni basilari di piacere e dispiacere, che ci guida verso l’intuizione e la consapevolezza dei bisogni, della qualità caratteristiche ambientali, che dirige le nostre scelte organismiche e la nostra capacità di un reale e profondo adattamento creativo. È il corpo che ci parla della congruenza e dell’adeguatezza dei nostri schemi, che ci porta i piedi per terra e ci libera dalla schiavitù delle astrazioni, delle nostre creature intellettuali. Ma non è un corpo solitario, una ipseità sia pur corporea, è un corpo/mente in interazione con altri corpi-menti, è una intersoggettività, un risuonare di soggettività tese alla costruzione di nuovi significati dello stesso mondo della vita.

Ecco perché quando i nostri schemi si sono incancreniti, e noi svolazziamo colpendo le pareti all’interno delle nostre prigioni di vetro, è al corpo fenomenologico e al dialogo delle fenomenologie che dobbiamo tornare per cogliere in misura maggiore la ricchezza inesauribile delle situazioni e almeno in parte migliorare, modificare, creare nuovi schemi più adattivi, dotati cioè, direbbero gli psicologi della Gestalt, di una forma migliore.

Insegnando e sostenendo l’attenzione al corpo e attraverso il dialogo fenomenologico, la Gestalt è in grado di ampliare il campo di consapevolezza di sé e della situazione, da cui consegue un inderogabile “E quindi?” che diventa assunzione di responsabilità e scelta dell’azione efficace.

In tutti gli ambiti dell’apprendimento e della crescita personale, nel formarsi e trasformarsi delle relazioni, nel miglioramento delle proprie capacità e competenze, nella vita all’interno dei gruppi e delle organizzazioni, NOI SOSTENIAMO LA CONSAPEVOLEZZA PER L’AZIONE!

Franco Gnudi

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