La leadership al tempo della complessità

Qualunque discorso sulla leadership richiede un chiarimento preliminare del concetto di potere.

Da dizionario, il potere è la possibilità oggettiva, la capacità concreta di fare qualcosa, di influire sulla realtà e sui suoi cambiamenti in una certa direzione voluta; non coinvolge necessariamente altre persone, né tantomeno il dominio su di loro (occorre perciò distinguerlo dalle sue più comuni distorsioni: abuso, violenza, tirannia, ecc.) e non è in sé nulla di brutto o riprovevole (anzi, basti pensare alla spiacevolezza della condizione opposta: l’impotenza). È nella sua essenza etimologica un “io posso”.

Occorre inoltre definire anche il concetto di gruppo: un insieme di persone che si differenzia ed è più della semplice somma di individui, per l’esistenza al suo interno di una organizzazione formale od informale, di una rete abbastanza consolidata di relazioni, comunicazioni ed influenze al fine di raggiungere uno o più scopi impliciti od espliciti alla base stessa della genesi del gruppo.

La leadership è il processo decisionale con cui il gruppo si auto-organizza e si muove per il raggiungimento dei propri fini, ossia per avere potere sulla realtà. Come tale è una funzione universale ed indispensabile del gruppo in quanto organismo sociale, necessaria alla sua costituzione, sopravvivenza e crescita.

Secondo Hershey e BlanchardLa leadership è il processo volto ad influenzare le attività di un individuo o di un gruppo che si impegna per il conseguimento di obiettivi comuni in una determinata situazione.

Le dinamiche di leadership, ossia l’intreccio delle reciproche influenze in vista di un obiettivo comune, esistono e sono sempre esercitate in modi ed intensità diverse ad ogni livello del gruppo e dell’organizzazione. Tuttavia, per facilitare questi stessi processi o per rispecchiare pre-esistenti rapporti di forza, emergono in genere leadership formalmente e simbolicamente riconosciute, che riassumono ed esercitano molta parte del potere reale, sia nei riguardi degli altri componenti del gruppo (che diventano di conseguenza “dipendenti” o “collaboratori”), sia verso l’ambiente esterno.

Il modo in cui la leadership formale esercita, riconosce, fa crescere e/o distribuisce il potere all’interno dell’organizzazione è ciò che distingue fra loro le organizzazioni. Hershey e Blanchard riconoscono varie modalità o “stili di leadership”, più o meno adeguate a perseguire gli scopi del gruppo/organizzazione a seconda delle caratteristiche dei suoi componenti. A questo scopo raccomandano:

•    in situazioni di bassa motivazione e competenza dei collaboratori, il leader deve occuparsi di definire con chiarezza il compito e fare rigorosamente rispettare i comportamenti richiesti (leadership prescrittiva)

•    in presenza di una maggiore motivazione, il leader deve fornire chiare e precise indicazioni sul cosa e come fare, ma dedicare anche energia al farne comprendere le ragioni, in modo da favorire la crescita delle competenze nei collaboratori (leadership prescrittiva/relazionale)

•    via via che le competenze si accrescono, il leader sostiene la fiducia dei collaboratori nelle proprie capacità acquisite, e con tale riconoscimento ne favorisce l’autonomia (leadership relazionale)

•    allorché motivazione, competenza ed autostima sono tutte solidamente acquisite, il leader può progressivamente distanziarsi, pur rimanendo a disposizione in casi di emergenza, fino alla completa delega e al sostegno solo su richiesta o necessità (leadership delegante).

Dalla teorizzazione di Hershey/Blanchard (anni ’80) si estrapola già una strategia consapevole di coaching ante-litteram attraverso cui il leader favorisce la crescita dei collaboratori/dipendenti, attraverso il coinvolgimento, l’acquisizione di competenza, il sostegno all’autonomia. I leader migliori sono in grado di utilizzare l’approccio giusto al momento giusto, passando da uno stile all’altro a seconda delle persone e delle circostanze, in modo da dare alla situazione la migliore evoluzione possibile. Notiamo però come la visione del potere rimanga verticistica, e l’importanza, a priori, di tutti i componenti del gruppo, non sia pienamente affermata, né sia considerata la globalità della situazione. In particolare poco viene detto dell’ambiente esterno, il reale fattore ultimo con cui sintonizzarsi per la sopravvivenza, la crescita, l’adattamento creativo, il successo dell’organizzazione.

Queste due criticità sono fra loro strettamente connesse e non tralasciabili. Siamo oggi al tempo di una società variegata e mutevole, in particolare il business è caratterizzato da un numero così elevato di fattori, un variare cangiante di prodotti, competitori, mercati, tecnologie, canali di vendita, ecc., da non essere più verticisticamente controllabile o prevedibile: siamo definitivamente passati dalla società meccanica alla società complessa! Rapidità, flessibilità, creatività, autoapprendimento, autorganizzazione, lavoro di squadra e di progetto, connessione e integrazione sono la risposta necessaria.

Come le organizzazioni possono sopravvivere al tempo della complessità?

Come devono autorganizzarsi per sopravvivere?

Come deve essere ed agire la leadership?

Ciò che rende complesso, adattivo e creativo ogni sistema fisico/biologico è il numero e la qualità delle connessioni fra i suoi elementi. Una struttura piramidale, satellitare, unidirezionale non è adeguata a tale scopo; la struttura a rete orizzontale è generalmente la risposta più efficace. Le variazioni di ogni parte del sistema devono poter essere percepite ed influenzare (!) molte altre parti, che a loro volta possono retroagire reciprocamente sulle cause prime, o sostenendone il cambiamento (feedback positivo), o rallentandolo, per consentire la stabilità necessaria alla autoconservazione e alla continuità del sistema (feedback negativo). L’esempio più eclatante conosciuto in natura è il cervello umano: un insieme di 100 miliardi di stupidi neuroni, ciascuno dei quali però connesso ad almeno 10.000 altri elementi, è in grado di produrre meraviglie assolute quali lo spirito e la mente.

Similmente, ciò che rende creativo ed adattivo un gruppo di esseri umani – un super-sistema complesso di sistemi complessi – è la quantità e la qualità delle loro connessioni, che devono essere multipolari (fra gran parte degli elementi con gran parte degli altri elementi), autentiche (non distorte od ingannevoli), complete (cognitive, emotive, intuitive, energetiche, ecc.). Sotto tali condizioni il gruppo stesso, più della somma delle sue parti, mostra le caratteristiche tipiche del sistema complesso: intelligenza, creatività, adattamento, autorganizzazione, qualità che permettono la sopravvivenza e la crescita al tempo della complessità.

La leadership deve allora saper facilitare la connessione fra tutte le parti del gruppo, e quindi in definitiva far crescere e pienamente utilizzare la sua intelligenza sistemica. La mission della leadership è ben rappresentata dal motto gestaltico: solo collegare!

Riprendendo la categorizzazione di Daniel Goleman, il leader deve oggi, come un direttore d’orchestra, saper risuonare con e valorizzare l’organizzazione ed i suoi componenti. In particolare:

•    collegare la storia, le risorse ed i valori attuali dell’organizzazione e le opportunità dell’ambiente ad una visione di futuro in cui tutti possano identificarsi, contribuire, coinvolgersi ed appassionarsi, e lottare insieme per realizzarlo, in una mission di larghi orizzonti, densa di significato e di impatto a livello personale, interpersonale e collettivo (leadership visionaria)

I have a dream (Martin Luther King)

•    promuovere il collegamento ed il dialogo fra le varie parti del sistema attraverso la creazione di un ambiente partecipativo, caratterizzato da autenticità e fiducia, dare voce e valore ai contributi ed al confronto, influenzare e lasciarsi influenzare dalle idee e dai feedback dei collaboratori (leadership democratica/dialogica)

                Come leader, mi sono sempre attenuto ad ascoltare quello che ognuno aveva da dire in una discussione                                   prima di portare la mia propria opinione. Molto spesso la  mia opinione ha rappresentato semplicemente il                             consenso di ciò che ho udito nella discussione  (Nelson  Mandela)

•    favorire il collegamento affettivo e l’espressione emotiva, la formazione di uno spirito di squadra, sostenere le relazioni interpersonali, l’identificazione, lo spirito di appartenenza, creare una consuetudine e le occasioni per l’espressione di solidarietà, fiducia ed armonia (leadership affiliativa/relazionale)

                Un team di successo batte con un solo cuore (Anonimo)

•    collegare l’autorealizzazione personale con gli obiettivi dell’organizzazione, ascoltare i bisogni/valori dei collaboratori, sostenere la motivazione e la responsabilità del processo di crescita individuale e la relativa ricerca dell’eccellenza, co-creare piani personalizzati ed occasioni di apprendimento per lo sviluppo delle potenzialità e la valorizzazione delle risorse, monitorare e verificare l’acquisizione delle competenze critiche specifiche del ruolo e del contesto organizzativo (coaching leadership)

                I leader non creano seguaci, creano nuovi leader  (T. Peters)

Goleman individua anche altri due stili in sé molto meno armoniosi – li definisce infatti stili dissonanti, in quanto generatori di emozioni stressanti e in definitiva spiacevoli – che, se usati in modo focalizzato e con molta parsimonia, possono essere necessari ed efficaci a mantenere collegato ed unito il gruppo nel rispetto di regole condivise e verso obiettivi prefissati:

•    il leader trascinante: fortemente impegnato in prima persona, esempio di grande coinvolgimento e competenza, collega e coagula il gruppo nel puntare dritto all’obiettivo, è in grado di affrontare l’emergenza, attivando, richiedendo ed ottenendo prestazioni di eccellenza, al prezzo però di grande sovrappressione e stress, non a lungo sostenibili.

                Non ho nulla da offrire se non sangue, fatica, lacrime e  sudore (Winston Churchill)

•    il leader autoritario: impone la vision e la mission aziendali, fa rispettare le regole e le procedure prestabilite che regolano e stabilizzano la vita del gruppo, permette la soluzione efficace e tempestiva di situazioni di emergenza, ma non sostiene né creatività né responsabilità.

                Se ordini al tuo popolo di andare a gettarsi in mare, quello farà la rivoluzione. Ho il diritto di pretendere                                   l’obbedienza perché i miei ordini sono ragionevoli   (Antoine de Saint-Exupéry)

Vorrei infine sottolineare anche alcuni sconsigliatissimi ma diffusi stili di leadership patologica e disfunzionale che, benché talvolta dirompenti ed efficaci per una pseudo-unità e l’azione aggressiva rispetto all’ambiente, mai dovrebbero essere adottati, perché, in quanto basati su una non connessione od una sua distorsione, sono tossici e distruttivi per la salute, l’intelligenza e la sopravvivenza stessa del gruppo (rendendo il gruppo meno della somma delle sue parti!):

•      il leader manipolatore: demagogicamente utilizza alcune delle caratteristiche della leadership risonante, ma in modo non autentico e in vista di propri interessi personali.

                        Per manipolare efficacemente il popolo, è necessario convincere tutti che nessuno li sta manipolando 

(John Kenneth Galbraith)

•      il leader narcisista: ha perso di vista l’interesse e gli obiettivi intrinseci del gruppo, verso il quale non ha alcuna capacità/volontà di ascolto, si circonda di adulatori interessati o intimoriti, ogni sua azione è volta all’autoglorificazione ed è incline ad azioni estreme e spesso pericolose che evidenzino la sua propria grandezza (grandiosità).

                        Qualis artifex pereo! (Quale artista muore con me!) (cit. Svetonio in Vita Neronis)

•      il leader paranoico: si sente circondato da nemici sia interni che esterni, basa il suo potere sulla paura e sull’aggressione preventiva, è in grado di unire il gruppo nei momenti di crisi e di malcontento, coalizzandolo contro capri espiatori interni o presunti nemici esterni, e porta inesorabilmente allo scontro, alla discriminazione, al conflitto distruttivo.

                        In quanto mi difendo dagli ebrei, lotto per le opere del Signore (Adolf Hitler)

•      il leader laissez-faire: di fatto è un non-leader, apparentemente delega, dialoga, accoglie, di fatto non si prende la propria responsabilità, non decide, non è presente o lo è in modo discontinuo ed intermittente.

 

Dizionario on-line Sabatini-Colletti

Paul Hersey, Kenneth Blanchard, Leadership situazionale. Come valutare e migliorare le capacità di gestione e degli uomini, Sperling & Kupfer, 1984

Ischa Bloomberg, gestaltista americano, fondatore del Gestalt Training Service

Daniel Goleman, Essere Leader, BUR Rizzoli, 2014

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